Da dove nasce il progetto Ritorno al Bosco
I primi incontri con le erbe selvatiche risalgono alla mia infanzia. Sapevo che esistevano alcune erbe selvatiche commestibili e ne sapevo distinguere alcune grazie a Mario, il mio nonno materno.
Se si presentava l’occasione durante le nostre passeggiate capitava di raccogliere quà e là qualche ciuffetto di verzulì (Silene vulgaris) o qualche foglia di tarassaco (Taraxacum officinale) – che lui come quasi tutti qui chiamava cicoria – e mi raccontava quel che sapeva. In base alle stagioni si potevano anche raccogliere frutta, bacche o funghi.
Ricordo che quando mi mostrava una pianta e me ne raccontava le proprietà o gli usi che conosceva lo faceva sempre con grande entusiasmo e con la semplicità di un uomo di montagna rimarcava la grandezza della natura in tutte le sue forme.
“Vedi Lara – mi diceva mostrandomi un germoglio di Aruncus dioicus – questo è tipo un asparago!” e mostrandomi come raccoglierlo diceva “ Ma è più buono…più sano…perché non è stato coltivato dall’uomo. Sai come si chiama? Barba di becco” – diceva ridendo per via del nome buffo della pianta.
La tradizione contadina nella quale mio nonno era cresciuto disponeva di una grandissima conoscenza empirica sugli usi delle piante spontanee ma con la fine della seconda guerra mondiale queste tradizioni tramandate tra le generazioni sono andate via via scomparendo.
La raccolta delle piante selvatiche
Con l’esplosione dell’economia del consumo andare per erbe era diventato nel pensiero comune “roba per poveretti” sopratutto qui da noi al nord Italia travolta più di altre zone dal boom economico degli anni 60. Erbe e frutti selvatici sono gratuiti, che valore avrebbero mai potuto avere?
La gente si preparava a passare dalla cultura contadina alla cultura dell’uomo moderno abbandonando quello che il passato aveva insegnato e a volte rinnegandolo in nome di una scintillante modernità.
Ma non mio nonno – e per fortuna dico io – ma perché?
Nemmeno lui doveva più andare in natura a cercare il cibo. Il supermercato e i negozi erano tutti sotto casa, i soldi li aveva e le offerte erano molte. Aveva anche un orto. E allora perché?
Credo che le motivazioni in campo potessero essere più di una.
Forse questo lo faceva sentire libero. Libero di non dover dipendere dai supermercati, anche solo in linea teorica!
Forse perché sapeva che le piante selvatiche a differenza delle selezioni coltivate sono più forti e di conseguenza più ricche di proprietà.
Forse semplicemente perché stare a contatto con la natura rallegrava il suo corpo e il suo spirito?
O forse semplicemente perché saper aspettare e cercare era una parte divertente del gioco. Avere sempre disponibilità di qualcosa non lo rende di certo prezioso, giusto?
Purtroppo oggi non posso più chiederglielo ma sono sicura che anche per lui la pratica della raccolta selvatica era qualcosa di più profondo.
Ogni seme trova il momento giusto per germogliare
Queste sensazioni si sono svelate anche dentro di me, durante il primo lockdown del 2020, quando causa pandemia Covid19 siamo stati costretti a ridurre i nostri spostamenti. Ciò che si poteva fare era uscire a piedi da soli, senza spostarsi troppo da casa.
Ed era primavera. E che ne sapeva la primavera del Coronavirus? Assolutamente nulla! Quello era un momento drammatico solo per noi umani.
I notiziari mostravano gli scaffali dei supermercati presi d’assalto e ci raccontavano dei gravi risvolti economici che la pandemia stava procurando a livello mondiale. Intanto fuori casa fiorivano i prati, si svegliavano i boschi con le prime profumatissime foglioline di aglio orsino (Allium ursinum) e c’era cosi tanta bellezza in un momento buio come quello che stavamo attraversando. Era davvero un gran sollievo!
Passeggiata dopo passeggiata nasceva dentro di me il desiderio di osservare con attenzione e di conoscere questo meraviglioso universo vivente che vibra intono a noi. Il seme del raccoglitore piantato più di 30 anni fa dal nonno stava germogliando!
E così iniziai a studiare e a seguire corsi e laboratori per approfondire il meraviglioso mondo della botanica e dell’etnobotanica.
Iniziai a sperimentare la cucina selvatica e l’autoproduzione e questo mi dava e continua a darmi grande soddisfazione.
Preservare la biodiversità
Imparai che quei germogli che mio nonno raccoglieva (barba di becco – Aruncus dioicus) sono si commestibili ma che nelle regioni di Lombardia e Friuli, per via delle raccolte indiscriminate del passato, la pianta è protetta e la raccolta è vietata.
Capii che era fondamentale sviluppare una coscienza ecologica improntata ad un consapevole rispetto della natura, degli ambienti, della biodiversità e degli ecosistemi.
E cosi è nato Ritorno al bosco. È nato dal desiderio di divulgare maggior rispetto e consapevolezza verso la natura e tramandare gli usi delle erbe e delle piante commestibili e officinali che vivono intorno a noi.